Quando ci hanno detto che non dovevamo più uscire di casa in un primo momento ho davvero creduto fosse venuto il tempo di tirar fuori i vecchi diari, la giovane me stessa, gli irrisolti esistenziali da porre in osservazione e mettermi a scrivere (passione mai sopita e sempre in attesa di uno spazio di cui godere)… Questo è stato solo il pensiero di un momento perché la vita della comunità, svolgendosi principalmente all’interno, non è cambiata di molto anzi è solo aumentato il mio lavoro. Mi stanco molto, ma sono anche incredibilmente più vigile. Muovermi in quest’aria surreale aumenta il mio senso di responsabilità…o solo la tensione interiore…?
Cosa mi piace di più? L’Opera ha ricevuto in dono tanta di quella provvidenza alimentare che possiamo regalarne ampiamente in una rete di solidarietà che fa bene al cuore. Nonostante la maggiore mole di lavoro (non ci sono più le signore che ogni giorno aiutavano in cucina, che aiutavano le donne e per le pulizie)… prego di più, ho l’impressione inoltre di un continuo stato di preghiera. È come se il silenzio fosse penetrato nelle pieghe più riposte della realtà che mi circonda, nonostante ripeto il lavoro, le telefonate, l’approvvigionamento di cose necessarie alla comunità, come le medicine…e nonostante tutto il gran da fare e anche se parliamo, le parole giungono come non mai da una quiete e da un profondo silenzio…
15 giorni fa il primo caso positivo nel nostro dormitorio, c’era d’aspettarselo.
Prontamente ho trasferito le donne in un’ altra casa dell’Opera, a Novate, e gli uomini sono rimasti in via Assietta. Le donne più giudiziose si sono disposte con maggior consapevolezza alle restrizioni della quarantena; alcuni uomini no.
Qualcuno ha scavalcato il cancello e non si è fatto più vedere, qualcuno ha scavalcato con la pretesa poi di rientrare; altri vorrebbero integrare i pasti mandando i volontari a comprare qualcosa di particolare per loro, ed uno ha persino chiesto l’acqua minerale perché non beve quella del rubinetto…
C’era d’aspettarselo? In fondo credo di si. I poveri hanno soldi solo per piccole cose superflue, non hanno soldi per quelle essenziali perché sono infinitamente costose per chi non ha nulla. È sciocco stupirsi, per esempio, che i profughi abbiano i cellulari con internet…solo chi ha soldi può permettersi il lusso di risparmiare. Chi parte per mondi sconosciuti, se ci arriva vivo, vuole solo poter chiamare chi lo conosce e lo tratta come un essere umano. Per questo chi vive nei dormitori, quel poco che ha lo spende in sigarette,
vino, una bottiglia di acqua minerale…Ciò non toglie che a quel ristretto numero di uomini ho detto di mettere giudizio e accontentarsi di quello che passa il convento, oltre al bere l’acqua del rubinetto.
A Casa Betania, in pieno Coronavirus sono morti due ospiti; questo ha provocato una strana reazione. Il timore che da fuori potessero pensare che Casa Betania si fosse trasformata in un focolaio di infezione, ha rischiato di prendere il sopravvento su qualsiasi altro sentimento. Invece loro sono morti per cause pregresse che non sono c’entrate nulla con il covid. Radi (bulgaro)e Gheorghe (rumeno), sono stati pochi mesi con noi, facendo avanti e indietro dai pronto soccorso ad ogni ora della notte, sempre lì lì per andarsene, avrei voluto che li accogliessero in un hospice, pensavo sarebbe stato più dignitoso per loro, ma la lista d’attesa è sempre lunghissima e poi il coronavirus ha bloccato tutto. Comunque, anche se ce li hanno avvolti in un brutto sacco di plastica nero e chiusi immediatamente nella cassa, sono morti in un letto amico, chiamati per nome, e hanno ricevuto le nostre preghiere… Radi lo avevano dimesso da un ospedale geriatrico in pessime condizioni e ci avevano chiesto di accoglierlo; Gheorghe in ospedale non ci era proprio entrato, infatti lo avevamo incontrato vicino alla macchinetta del caffè del pronto soccorso del Policlinico, incapace di mettersi in piedi, molto segnato dalla malattia che se lo sarebbe portato via in poche settimane, accucciato in terra, a chiedere l’elemosina…