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Ho sempre avuto nel cuore aspirazioni spropositate! Un fuoco di scoperta e di conquista, una voglia di vivere esplosiva che le varie vicende della vita nel corso degli anni continuavano a mortificare e rischiavano di spegnere definitivamente, ma mi sembrava impossibile non ci fosse da qualche parte ciò che volevo: verità, trasparenza, bellezza, significato. È stata poi decisamente la strada del dolore a portare il mio cuore a schiudersi e a far sì che fosse illuminato dalla luce di Cristo. L’incontro con il Signore è avvenuto nella mia casa di Roma nel 1985, l’incontro con Fratel Ettore nove anni dopo a Ripa Teatina (Chieti) nel 1994. Dieci anni dopo, quando seppe della sua malattia, Fratel Ettore mi fece sua erede.

L'INCONTRO

Incontrare fratel Ettore ha significato l’incontro con i poveri, con la povertà e la provvidenza. Tutto questo entrava in forte corrispondenza con la mia vita di preghiera e la mia ricerca di uno stile di vita più attento all’essenziale, alla verità di se stessi e degli altri, alla gratuità delle relazioni autentiche, all’amore…

E poi è avvenuto che ad una certa forma di ideologia iniziale, per cui pensavo di fare un servizio per gli altri, si sia sostituita la realtà in tutta la sua concretezza e straordinaria spiritualità ed è stato un avvenimento importante per il mio cammino spirituale. È stato un fare verità e questo è fondamentale se vuoi  ritrovarti a tutto tondo con la tua affettività, carattere, aspirazioni, limiti, creatività, in uno stile di vita dove il bisogno di famiglia (appartenenza), di lavoro e realizzazione di te stessa si armonizzano, perché è solo nella verità di te stessa  che puoi proseguire nel cammino e iniziare a ricevere e a dare vita. 

Poi, una settimana dopo la morte di Fratel Ettore, sono arrivate Ester e Laura…

NOI TRE SORELLE

Cerchiamo di rispondere alle necessità dei più poveri e di chi ci chiede aiuto il meglio che possiamo. La preghiera, in tutte le sue forme, è la chiave per focalizzarci su Cristo armonizzando tutto ciò che siamo e facciamo con il suo essere, la sua parola e il suo amore.

E’ un compito, che va affrontato quotidianamente con semplicità, umiltà e mitezza, tutte virtù che naturalmente ci vedono impreparate e sono da conquistare nel tempo praticando e perseverando, senza spaventarsi ma mantenendo la fiducia che l’aiuto della grazia porti tutto a compimento. Non siamo un’opera sociale, non ci siamo mai ritenute tali. Il nostro stile di vita non si basa sulla quantità di poveri che accudiamo e nemmeno sul vivere un encomiabile servizio assistenzialistico. Al primo posto in questo cammino c’è un’appassionata ricerca di Dio e di umanizzazione di noi stesse, cose che si compiono anche grazie alla cura di quegli stessi poveri da cui siamo curate. Si tratta di testimoniare un genere di vita trasformante che vogliamo condurre per e con loro.

UN MONASTERO DI POVERI

Ad oggi nessuna altra donna si è unita a noi tre sorelle. Non so se è perché questa vita vista da fuori risulta troppo faticosa; oppure la nostra testimonianza non attrae; oppure per altri motivi che non so trovare. Però alle volte sono convinta che il motivo per cui non abbiamo vocazioni non è dovuto, come si dice, ai tempi di oggi, al nostro scarso potere di attrazione, alle chiese che si svuotano, ecc. perché nello stesso modo imprevisto in cui il Signore ha messo insieme noi tre avrebbe potuto chiamarne altre…allora mi dico che le nostre “vocazioni” sono quei poveri che decidono di restare con noi invece che andarsene, scappare, morire…  

Ecco perché la nostra associazione, il nostro stare assieme, più che “opera” fratel Ettore è chiamata da noi e dagli altri “comunità” di fratel Ettore, perché noi siamo una Comunità. Essere comunità è qualcosa che si conquista passo dopo passo, me ne rendo conto guardando la nostra storia e me ne rendo conto guardando gli appena arrivati, la loro estraneità, la difficoltà a fidarsi, ad aprirsi…poi il tempo e la preghiera li fa schiudere e rifiorire e aderiscono con il cuore a questa nostra comunità che sembra un vero e proprio monastero di poveri…

Perché stare con i poveri? Vi racconto la mia esperienza. Per me non è stata la fede a farmi avvicinare ai poveri anzi se avessi badato alla mia fede, alla mia poca fede, non mi sarei sbilanciata, non avrei osato tanto! Non mi ero mai chiesta infatti se nel povero c’era Gesù, non pensavo che fare del bene mi avrebbe meritato il Paradiso e per giunta avevo anche molte cose da sistemare e ordinare nella mia vita, soprattutto cose interiori. 

Questa infatti era la situazione che stavo vivendo. 

Nei momenti duri della mia infanzia e adolescenza, mi accorgo, rivedendomi, di aver avuto un’esperienza di Dio tutta particolare.

LO SCONTRO CON DIO

Le esperienze dolorose fanno scoprire Dio ma, inizialmente, questa scoperta non è del tutto positiva, o almeno per me non fu così. Più che di incontro con Dio, per quanto mi riguarda, sarebbe meglio parlare di scontro. Ho vissuto infatti una contraddizione interiore che oscillava tra il devoto e la rabbia. (Sarà una espressione troppo forte? Forse).      

Ero convinta, infatti, che Dio avesse dovuto manifestarsi nelle formule di preghiere o quando ero in ginocchio in qualche chiesa, ma la realtà era che sia dentro che fuori di me non cambiava mai nulla e pur ritenendomi “devota” mi ritrovavo sempre a vivere situazioni non scelte, non capite, diverse da quelle dei miei coetanei. Ecco che allora scaturiva una reazione inaspettata di rabbia lanciando a Dio delle frecce dirette: “Dove sei Dio? Ma ci sei o no?”  

Mi convinsi che Dio non lo si può conoscere fino in fondo. Se ne scopre solo una parte, lentamente e poi lo respingi, batti i pugni e lo fai andare via. Lo allontani perché te ne ha combinate talmente tante che decidi che è così che deve essere. Poi però non lo vedi più e aspetti. E l’attesa è come un mare in burrasca in cui non sai dove aggrapparti, sparisce totalmente la parte devota di te e rimane solo la voglia di far valere le tue ragioni! 

Con il tempo scoprii che Dio attuava con me in un modo che non avevo mai preso in considerazione: non usava gli effetti speciali. Mai. Nemmeno ora! E solo più tardi capii che questo non era un nascondersi di Dio, tutt’altro… Ho sempre camminato con i piedi per terra e non mi è stato risparmiato niente. Ospedali visti: abbastanza. Malati? Tanti. Giovani malati: anche.  Consultori: file a non finire.  

Il vangelo dice: “Io sono con te tutti i giorni fino alla fine della tua vita”, ma qual era la maniera di Dio di stare con me!? Forse che Dio si infilava continuamente nelle pieghe della mia vita e andava plasmando e coltivando il mio cuore? pulendo minuziosamente come con un bisturi le ferite e usando la mia vita come un campus, una specie di esperimento, o una scuola dove dovevo apprendere qualcosa?

Pare di si…La sacra scrittura dice che “Imparò l’obbedienza dalle cose che patì”… Si è nel dolore che ho imparato e ne è la prova che, fin da piccola, ho sempre avuto nel cuore  il desiderio di aiutare gli altri, quelli in difficoltà, i più malati, i tristi, quelli che sono soli. Non necessariamente poveri in quanto a soldi, ma bisognosi. Avevo una sensibilità e un modo di intuire le cose particolare e non è stato difficile per me rispondere a quel desiderio che mi portavo dentro senza pensare se era mio o era di Dio. Sapevo che era un desiderio gratuito che mi riempiva e che non cercavo niente in cambio, come invece succede molto spesso.

L'INCONTRO CON DIO

Iniziai a frequentare Casa Betania con questo buon proposito di gratuità che non mi ha mai abbandonato. Risale a quei primi tempi l’esperienza importante che voglio raccontare: un giorno prima di iniziare il mio servizio con i poveri entrai nella cappella – riproduzione fedele del santuario di Fatima – dove i poveri ben ordinati tenevano in mano un bel libro alto e, con mio stupore, stavano recitando le Lodi! Fu con loro che imparai a pregare con i salmi e da lì a poco successe che iniziarono i miei dialoghi con il Signore e non solo! Iniziai a parlare di fede con i miei amici per scavare più in profondità nella mia interiorità. Ero proprio interessata a vedere che cosa avevo dentro! Fu così che cominciai a riscoprire, piano piano, le cose di Dio.  

Ero avvantaggiata nella mia riscoperta perché a Casa Betania è facile vedere Dio! Il mio compito era quello di affiancare Lorenzo il portinaio. Erano molti i benefattori che arrivavano al cancello ed io aiutavo Lorenzo a ricevere le tante donazioni di vestiti e di alimentari e a portarle al capanno o in cucina. Era la prima volta che vedevo la Provvidenza di Dio vestire e sfamare i poveri e questa era così sovrabbondante da poterne distribuire ad altri, proprio come spiega il vangelo nell’episodio della moltiplicazione dei pani! Mi sembrava così straordinario tutto quello che si svolgeva sotto i miei occhi! Ed era così evidente che Dio si stesse prendendo cura di quei poveri che non potevo più dubitare che lui di certo si prendeva cura anche di me!

OGGI

Ho raccontato come è iniziato il mio cammino spirituale fatto di avanzate, di arresti, di gioie e di dubbi, di comprensioni e di conquiste…Ancora oggi il cuore mi sovrabbonda di gratitudine al pensiero di quale grazia il Signore mi abbia dato per non fuggire davanti al dolore della gente, di non tapparmi gli occhi o le orecchie, di non cedere alla stanchezza e al rifiuto. Avrei potuto alzare muri, tirarmi indietro, far finta di non vedere, o anche non avere più voglia di vedere, sarebbe stato umanamente comprensibile farlo, ma invece, per grazia, la mia vita ha preso tutta un’altra svolta! E ora per fede mi ritrovo ad essere quel Cireneo che aiuta Cristo a portare la croce e, come posso, ad essere presente nelle sofferenze, malattie, fatiche di questi suoi figli e figlie. 

Sono entrata in Comunità a 25 anni. Avevo casa, famiglia, lavoro, un gruppo di amici affiatati coi quali condividevo la fede, ma mi mancava un compimento, la pienezza di vita e questa avviene solo nella donazione totale di sé, per quanto graduale e imperfetta possa essere.

Da quando avevo 15 anni sapevo che la mia strada non sarebbe stata quella del matrimonio ma un’altra: la mia strada era la consacrazione a Dio e ai poveri, però ne avevo paura. Dieci anni dopo, con l’aiuto della Madonna, di un sacerdote e dei miei amici, il mio cuore si è reso disponibile all’accettazione di quello che già sapeva. 

L'INNAMORAMENTO

Dio non mi ha forzato a fare qualcosa di diverso da quello che già era scritto dentro di me, ma me lo ha svelato dandomi contemporaneamente la certezza che comunque avessi risposto il suo amore per me sarebbe rimasto uguale. Non è che si offendeva o si arrabbiava se dicevo di no, solo sarei stata infelice e avrei reso infelici altre persone.

L’incontro con la Comunità è stata poi la scintilla che mi ha fatto innamorare. L’innamoramento è una cosa seria, una forza che ti tira fuori, ti spinge e ti catapulta oltre muri altissimi che sembrano invalicabili.

Sono nata vicino al Po, nella “Bassa”, anche l’idea di lasciare la mia terra mi spaventava, ma quando l’amore vero ti tocca lo riconosci e capisci che è l’occasione della vita, un treno che non puoi perdere se vuoi essere felice.

E come capita agli innamorati ho ricevuto una nuova vista. Nei poveri ho visto proprio Cristo. Del suo Corpo che adoravo nell’Eucarestia ora potevo averne cura nei poveri e adesso mi sembra impossibile vivere l’una senza gli altri…

LA COMUNITA'

Siamo una Comunità. I poveri sono le persone con cui vivo, di cui mi prendo cura e dalle quali sono anche curata. Essere una Comunità significa sentire di far parte di un unico corpo, quello di Cristo. La Comunità è una cellula, un prototipo, un campione di quello che dovrebbe essere tutta la società. Tutta l’umanità deve diventare una Comunità dove l’uno ha cura dell’altro…

La nostra Comunità vive in piccoli gruppi nelle diverse case dell’Opera: io e altre dodici persone siamo al Villaggio della Misericordia nella periferia nord di Milano. Vivere il quotidiano cercando di essere pienamente presenti a quello che si fa sviluppa uno sguardo contemplativo. Si vede meglio la realtà – la tua e quella delle persone che ti vivono accanto e anche di quelle che vivono “fuori” – la mente si libera dalle cose inutili, c’è spazio per la creatività e per la testimonianza…

GLI OCCHI PER VEDERE

Nel Villaggio ci sono due dormitori, quello maschile e quello femminile, ed è proprio quel piccolo distaccamento della Comunità, piccolo gruppo che prega e vive insieme, a creare il clima adatto ad accogliere persone provate e ferite, molte volte al limite della salute mentale.

Gli occhi per vedere e “sentire” le necessità di questa tipologia specifica di persone mi si sono aperti all’improvviso ed è stato come concepire. Capisci che è successo qualcosa che non è dipeso da te, ma sta a te accoglierlo, farlo crescere, nutrirlo…

“Voi stessi date loro da mangiare”. Queste parole di Gesù da alcuni anni risuonano sempre più forte dentro di me: dare sé stessi da mangiare agli altri pur consapevoli del poco e limitato che siamo, ma non c’è niente da fare, è quello che Gesù vuole…

Ad ogni modo, il tempo è galantuomo, e ogni cosa cresce a suo tempo, e ogni cosa vera rimane e si sviluppa, resiste al tempo e ai vari inverni e a suo tempo germina, come il grano. Io rimango sempre una “pioppa” di Po e anche se l’amore e la vita mi hanno portato “lontano”, hanno però contemporaneamente recuperato tutto ciò che sono e questo tutto, via via arricchito dagli anni e dall’esperienza, dà forma a qualcosa che va verso un compimento pieno, che non potrà avvenire se non nell’amore…

Primo incontro/testimonianza per giovani
Secondo incontro/testimonianza per giovani
Terzo incontro/testimonianza per giovani
Primo incontro/testimonianza per giovani
Secondo incontro/testimonianza per giovani
Terzo incontro/testimonianza per giovani

“Casa Betania delle Beatitudini”

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